“Dionigi dopo un’esplorazione dei luoghi con gli architetti, cominciò a costruire dei moli fino a Mozia e tirò a secco le navi da guerra all’entrata del porto. Completato il molo accostò alle mura macchine di ogni genere e iniziò a colpire le torri con gli arieti e a respingere con le catapulte quelli che combattevano sugli spalti.Gli abitanti di Mozia anche di fronte al pericolo reale non si lasciarono intimorire dalle forze di Dionigi sebbene in quel frangente non avessero alleati.” [Diodoro Siculo – Bibliotheca Historica]
E’ piccola, è rotonda, una piccola oasi in una laguna ricca di sale, imprigionata tra il blu del mare e il blu del cielo. La guardi dalla costa mentre aspetti il battello che ti porterà là da lei e la ami subito. Così mi sono ritrovata con zaino in spalla pronta ad esplorare quella che fu una delle tre più belle e ricche città puniche in Sicilia. Completamente protetta e circondata da possenti mura costruite sulle sue coste, la città di Mozia sull’isola oggi chiamata San Pantaleo all’interno della laguna a sud di Trapani, fu fondata dai Fenici insieme a Palermo e Solunto alla fine dell’VIII secolo a.C . Per vari secoli fu polo di irradiamento della cultura fenicio punica nel Mediterraneo e sviluppò un fecondo contatto culturale con gli Elimi nell’entroterra e i Greci di Sicilia. Fu città ricca e pacifica, i suoi abitanti costruirono una strada che fuori dalla Porta Nord, li congiungeva con le coste della terraferma per poter facilitare gli scambi commerciali. La vita trascorse serena per tre secoli fino a quando i rapporti con i Greci iniziarono ad inasprirsi in quanto la potenza cartaginese cominciava a dare fastidio all’egemonia greca. Così nel 397 a.C Dionigi di Siracusa sferrò il suo attacco alla piccola città. Non risparmiò niente e nessuno. Le macchine da guerra usate furono molteplici. La sua crudeltà nell’annientarla e nel trucidare tutti i suoi abitanti fu un capitolo molto triste della storia siciliana e cartaginese. Infatti la flotta cartaginese non riuscì a salvarla, ma i moziesi resistettero con grande coraggio, dopo aver distrutto la strada che li congiungeva con la terraferma trasformarono le loro case in trincee, ma nulla valsero i loro sforzi.. I pochi superstiti fuggirono verso sud e si stanziarono sul promontorio di Capo Boeo e lentamente rifondarono una nuova città, l’antica Lilibeo, oggi Marsala.
Qualche tempo dopo il generale Cartaginese Imilcone sbaragliò facilmente il contingente dionisiano lasciato a guardia di Mozia. L’isola passò nuovamente sotto l’egemonia cartaginese; ma il suo declino era ormai segnato.
I reperti più significativi degli scavi di Mozia sono conservati nel ivi museo creato da Giuseppe Whitaker uomo di raffinata cultura che pur di poter scavare in libertà e fare le sue ricerche comprò l’isola.Nel 1906 quindi, fu lui, inglese naturalizzato siciliano, che per primo rese visibile e fece conoscere Mozia al mondo iniziando una serie di scavi studiati e organizzati. Prima di lui Mozia aveva acceso la curiosità anche del famoso scopritore di Troia Schliemann che nel 1875 venne qui a fare solo dei brevi scavi.
LA CINTA MURARIA
La cinta muraria della città fu continuamente modificata nei primi secoli di vita della città, e ci appare oggi come un’impianto massiccio costituito da blocchi squadrati di calcare e masse di mattoni crudi. A intervalli regolari rafforzata da torri e caserme tra cui la torre orientale affiancata da scale che permettevano la comunicazione con l’esterno e il bastione a sud eretto in difesa del Khoton, la zona sacra della città.
IL KHOTON
Imponente zona sacra con diversi edifici templari eretti all’interno di un enorme recinto circolare che comprendeva la grande vasca del Khoton. Inizialmente primo luogo di stanziamento della popolazione dovuta a diverse sorgenti di acqua dolce poi successivamente battezzato a luogo cultuale.I riti erano di carattere fenicio-puniche con influenze greche a testimonianza della mescolanza pacifica delle due culture. Un frammento di basalto e ciottoli di pietra bianchi e neri si possono riferire a BaalAddir-Poseidon, la divinità tutelare, mentre semi e mandorle ritrovate in un pozzo richiamano a Demetra.
IL TOFET E LA NECROPOLI
A nord ovest sulla costa si trovano i resti del Tofet e della Necropoli. Il tofet era un santuario dove venivano deposti i resti combusti delle sepolture infantili. La stessa parola tofet si può ricollegare a una parola ebraica che indica il ” passaggio nel fuoco”, alludendo ai sacrifici umani in onore del dio Moloch. La parola tofet definisce poi un tipo particolare di santuario fenicio, i cui resti sono noti unicamente in una parte geografica coloniale dell’Occidente: Africa settentrionale, Sicilia Occidentale e Sardegna. Elementi caratterizzanti del santuario sono, dal punto di vista religioso, la pratica di sacrifici umani,dal punto di vista archeologico la presenza di uno spazio scoperto, abitualmente molto ampio, destinato a conservare nel terreno i vasi con i resti combusti delle offerte.
Quello di Mozia ha restituito oltre 1000 deposizioni accompagnate da cippi e e stele figurate alcune con dediche a Baal Hammon, coprendo un arco cronologico compreso tra la metà del VIII e la fine del IV secolo, ultimo periodo in cui c’è testimonianza dei sacrifici
AREA INDUSTRIALE E LO SPLENDIDO AURIGA
Infine una delle zone che ci hanno regalato un dei più bei esempi di scultura greca è la cosi detta area industriale, zona dove si producevano manufatti e prodotti per la pittura. Di fianco alla Porta Nord nella zona degli scavi K, dove nel 1979 fu ritrovato il famoso AURIGA, qui trovate la sua storia e bellissime foto.

RICOSTRUZIONE DELLA STRADA -WIKIPEDIA SOURCE
Così dopo aver percorso la circonferenza di 2700metri di tutta l’isola e aver trascorso tutto il giorno in questa piccola perla siciliana, torno al battello per proseguire verso Lilibeo, l’erede di questa piccola grande città e scoprire altre bellezze di questa terra meravigliosa che è la Sicilia.

La sottoscritta che guarda la terraferma da dove partiva la strada sull’acqua 🙂
Quando scrissi “Fuochi nel Mediterraneo” (Ed, Spiragli, Marsala, 1992) e “Hiram il fenicio” (Ed. Ila Palma, Palermo, 1995) avevo scarse o nulle conoscenze storico-archeologiche. Queste notizie mi sarebbero state molto utili. Grazie.
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